I-2. L’istituzione delle peace-keeping operations per la soluzione della crisi nel Sudan (Darfur)
Con la risoluzione CdS 1547 del 2004 è stata istituita la Squadra preparatoria delle Nazioni Unite nel Sudan (UNAMIS) ([28]), la cui missione viene prorogata per un periodo di tre mesi (e quindi fino al 10 marzo 2005) su proposta del Segretario generale, espressa nei rapporti del 28 settembre e del 2 novembre 2004 (Risoluzione CdS 19 novembre 2004, n. 1574, par. 7). Successivamente, con Risoluzione CdS 10 marzo 2005, n. 1585, il CdS decide di prorogare la missione fino al 17 marzo 2005. La risoluzione CdS 17 marzo 2005, n. 1588, modifica la data di proroga della missione dell’UNAMIS stabilendola al 24 marzo 2005.
Con risoluzione CdS 24 marzo 2005, n. 1590, viene istituita la Missione delle Nazioni Unite nel Sudan (MINUS) ([29]) per un periodo iniziale di sei mesi ([30]), composta da 10.000 militari che opererà inizialmente per un periodo di 12 mesi. È prevista inoltre una componente civile di 715 uomini e donne (al massimo) (par. 1) ([31]). La risoluzione CdS 31 agosto 2006, n. 1706 (par. 3) prevede successivamente un potenziamento della MINUS ([32]).
La MINUS dovrà tenersi in stretto contatto (continuativo) con la Missione dell’Unione africana nel Sudan (MUAS) ([33]) e coordinare con quest’ultima la sua azione allo scopo di rafforzare la missione di pace nel Darfur (Ris. CdS 1590/2005, par. 2; Ris. CdS 1663/2006, par. 3) ([34]).
Alla MINUS ([35]) sono assegnati i seguenti compiti: 1) contribuire alla realizzazione di un accordo di pace e quindi, una volta realizzato: a) sorvegliare e verificare sull’applicazione dell’accordo sul cessate-il-fuoco e fare inchieste su ogni violazione; b) tenersi in contatto con i donateurs di programmi di assistenza bilaterale a proposito della formazione di unità comuni integrate; c) osservare e sorvegliare i movimenti dei gruppi armati e eventuali nuovi spiegamentidelle forze nei settori in cui questa è impiegata conformemente all’Accordo del cessate-il-fuoco; d) contribuire alla realizzazione del programma di disarmo, di smobilitazionee reinserimento previsto dall’Accordo di pace totale, e la cui attenzione dovrà concentrarsi specialmente sui bisogni particolari delle donne e dei bambini combattenti. Questo programma si esegue procedendo ad un disarmo volontario e alla raccolta e distruzione delle armi; e) aiutare le parti contraenti dell’Accordo di pace totale a far comprendere il processo di pace, oltre che l’importanza del suo ruolo, attuando un campagna di informazione a tappeto in cooperazione con l’Unione africana; f) aiutare le parti contraenti dell’Accordo di pace totale a coinvolgere nel processo di riconciliazione e di pace tutti i militanti delle parti in conflitto ivi comprese le donne; g) aiutare le parti contraenti all’Accordo di pace totale, in cooperazione con i programmi di assistenza bilaterale e multilaterale, a ristrutturare la polizia sudanese (regolare) e quindi elaborare un programma di formazione e valutazione di questa e aiutare, mediante ulteriori mezzi, a formare il personale di polizia civile; h) aiutare le parti contraenti all’Accordo di pace totale a promuovere lo stato di diritto, una giustizia indipendente, una protezione dei diritti fondamentali della popolazione sudanese, applicando una strategia comune diretta a lottare contro l’impunità; i) contribuire alla realizzazione di una pace stabile e duratura, sviluppare e consolidare il quadro giuridico del paese; j) munirsi, in materia di diritti dell’uomo, dei mezzi, delle capacità e delle competenze sufficienti per condurre in questo ambito delle attività di promozione, di difesa dei civili e di controllo; k) fornire, alle parti contraenti dell’Accordo di pace totale, dei consigli sulle modalità di preparazione e indizione delle elezioni ([36]) e dei referendum previsti dall’Accordo, oltre che un’assistenza tecnica in collaborazione con gli altri paesi partecipanti.
2) Agevolare e coordinare, entro i propri limiti, mezzi e competenze assegnate, il ritorno dei rifugiati e delle persone deportate, oltre che l’assistenza umanitaria, contribuendo specialmente ad istituire le condizioni necessarie di sicurezza ([37]).
3) Aiutare le parti contraenti dell’Accordo di pace totale, in cooperazione con gli altri partenaires internazionali, attraverso delle attività di natura umanitaria, nell’ambito delle operazioni di sminamento, del consiglio tecnico e del coordinamento alle operazioni.
4) Contribuire all’azione condotta su scala internazionale per difendere e promuovere i diritti dell’uomo nel Sudan, e coordinare l’attività internazionale diretta alla protezione dei civili, interessandosi particolarmente alla sorte dei gruppi deboli, ivi comprese le persone deportate, i rifugiati le donne e i bambini, entro i propri limiti, e in stretta cooperazione con gli altri organismi delle Nazioni Unite, le organizzazioni affini e le ONG.
Si invitano le parti in lotta a cooperare pienamente allo spiegamento e alle attività della MINUS, garantendo, in particolare al personale delle Nazioni Unite e a quello associato, di circolare liberamente e senza pericoli nel territorio del Sudan (par. 6) ([38]).
A tal fine, il 28 marzo 2007 il governo sudanese e le Nazioni Unite hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta a Khartoum nella quale il governo s’impegna ad appoggiare, proteggere e facilitare tutte le operazioni umanitarie a Darfur. In particolare, il governo sudanese ha promesso di prorogare fino al gennaio 2008 i visti e i permessi del personale umanitario ([39]).
Infine, con la Risoluzione CdS 31 luglio 2007, n. 1769 si prevede l’istituzione di una missione di pace congiunta Onu-Unione Africana (MINUAD) (par. 1) ([40]) – che assorbirà i 7000 soldati dell’Unione Africana presenti sul campo già da tempo - composta da 19.555 militari, di 360 osservatori, agenti di polizia divisi in 19 unità, che opererà inizialmente per un periodo di 12 mesi. È prevista inoltre una componente civile di 3.722 uomini e donne (par. 2) ([41]). La Risoluzione, ai sensi del cap. VII della Carta delle Nazioni Unite, autorizza l’uso della forza per legittima difesa, per assicurare libertà di movimento ai cooperanti di organizzazioni umanitarie e per proteggere i civili dagli attacchi (par. 15).
I-3. Istituzione della Commissione di inchiesta sul Darfur
Constatato che le parti in conflitto non hanno la volontà di ottemperare ai loro impegni, il CdS ha deciso di istituire (con Risoluzione 29 marzo 2005, n. 1591, par. 3) - conformemente all’art. 28 del suo (provvisorio) regolamento interno – una Commissione di inchiesta sul Darfur composta da tutti i suoi membri incaricata:
1) di seguire l’applicazione delle misure che gli Stati saranno tenuti a prendere: a) per impedire l’entrata nel loro territorio o il transito (attraverso il loro territorio) degli individui indicati dal Comitato ([42]) salvo che il viaggio sia giustificato da motivi umanitari, religiosi, o da esigenze strettamente legate alla soluzione della crisi nel Sudan e nella regione; b) per congelare tutti i fondi, gli averi di natura finanziaria e le risorse economiche che si trovino nel loro territorio (dal 29 marzo 2005 in poi) appartenenti o gestiti (direttamente o indirettamente) dagli individui indicati dal Comitato, o che siano detenuti da entità appartenenti o controllate (direttamente o indirettamente) dai predetti individui o dalle persone che agiscono a loro nome o in base alle loro direttive; c) per impedire che i loro residenti, o chiunque altro si trovi nel loro territorio, mettano a disposizione di questi individui, o di queste “entità di fondo”, averi finanziari o risorse economiche, o ne permettano l’utilizzo per un loro profitto ([43]);
2) di segnalare gli individui sospetti, di stabilire i principi che saranno necessari per facilitare l’applicazione delle misure restrittive, di sottoporre al CdS un rapporto sul proprio operato (almeno) ogni 90 giorni, di esaminare ed approvare, tutte le volte che lo si ritenga opportuno, il movimento del materiale e delle forniture militari nel Darfur del governo sudanese conformemente all’art. 7 della presente risoluzione. Ed ancora, di valutare i rapporti periodici (sul proprio operato) che il Gruppo di esperti - composto da quattro individui, insediato ad Addis-Abeba (o a El Kasher in Sudan o in altre parti del Sudan), nominato per un periodo di sei mesi dal Segretario generale delle Nazioni Unite e sotto la direzione del Comitato – è tenuto a presentare ogni 90 giorni, o il rapporto finale che è tenuto a presentare (al Comitato) entro trenta giorni dalla fine del suo mandato ([44]).
Segue la prossima ultima di questa Premessa Breve ricostruzione storica della crisi nel Sudan
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