Monday, 28 December 2009

Bober!!!!!

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27 dicembre 2009
ATTENTATO A DETROIT
ROSSELLI: «è L’AFRICALA NUOVA FRONTIERA»

Giornalista e storico genovese, Alberto Rosselli è oggi uno dei maggiori conoscitori dell’Islam e del Medio Oriente. Un suo libro del 2007, “L’Olocausto armeno” (Solfanelli), gli è costato un anno sotto scorta. Minacce di morte da gruppi estremisti turchi. «Proprio in quell’occasione - spiega Rosselli - ho cominciato a studiare la saldatura tra estremismo islamico e gruppi nazionalistici di Paesi islamici. Un fenomeno del tutto nuovo, perché il nazionalismo aveva una matrice laica, almeno fino a cinque o sei anni fa. Su questo sto scrivendo un nuovo libro». Ma intanto il problema dell’estremismo islamico sta scivolando verso l’Africa.
Il giovane fermato sul volo Delta era un nigeriano, diceva di essere di Al Qaida…
«Guardi, onestamente uno che si fa scoppiare un petardo in mano, non credo proprio possa essere membro di Al Qaida. L’organizzazione qui non ha responsabilità dirette. Ma ne ha molte indirette. Rientra nel clima d’odio che diffonde il fondamentalismo. Ricordiamoci che tre anni fa, a Londra, in una manifestazione di islamici veniva affermato: “Noi non abbiamo bisogno della democrazia. Perché noi abbiamo la forza”…».

Come si diffondono Al Qaida e le altre organizzazioni terroristiche in Africa?
«Oggi le sacche più pericolose si trovano in Nordafrica, e sono figlie di un nuovo fenomeno migratorio, quello tra l’Africa sub-sahariana, che negli ultimi anni ha affrontato un incremento demografico fuori misura, e i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. In Mauritania, Ciad, Niger, Costa d’Avorio ci sono popolazioni islamiche che vedono nel Nordafrica un’area di relativo benessere. Così migliaia di persone si avventurano lungo le carovane della morte, stipate in container, senza cibo né acqua. Arrivano in Libia, Algeria, Tunisia. Chi sopravvive, affronta una vita da diseredato. Facendo i lavori più umili, talvolta in condizioni di autentica schiavitù. Lavorano nell’industria del petrolio, nella costruzione di infrastrutture. Nei grandi progetti di irrigazione, così come nei porti. Ed è proprio in questa disperazione che si crea il terreno più fertile per il terrorismo. Non è un caso che oggi i “manovali” di Al Qaida siano soprattutto neri sub-sahariani».
E in Nigeria?
«Un Paese marginale dal punto di vista geografico. Ma uno degli Stati più ricchi del mondo: gas, petrolio... Dominato, come spesso accade nell’area, da un governo che traspone nella repubblica parlamentare la vecchia struttura tribale. E che spende il 50 per cento del Pil in armi. Facile entrare nelle sue strutture economiche: Al Qaida in futuro sarà sempre meno bombe, ma più finanza. Attraverso attività “pulite”, controllate da scatole cinesi, cioè complessi intrecci azionari, l’estremismo islamico può influenzare lo Stato dal suo interno. Un esempio: il caso più clamoroso di questo sistema è il porto di Gedda, in Arabia Saudita».
Qual è il Paese africano più a rischio?
«Il Sudan. Che ha un atteggiamento un po’ subdolo nei confronti dell’estremismo, simile per certi versi al comportamento dei wahabiti in Arabia Saudita. Anche qui, ci sono poi gli interessi economici: enormi. Petrolio. Ma anche uranio. Traffico di schiavi. Per dire: i cinesi, che in patria continuano a massacrare gli uighuri musulmani, hanno ottimi rapporti con il Sudan».
In Africa, è noto anche il legame tra pirateria e Al Qaida.
«Lì ci andrei con i piedi di piombo. Sicuramente una parte dei proventi dei riscatti finanzia gruppi estremisti. Però la pirateria è un fenomeno più complesso, non presente solo in Somalia».
Altri Paesi a rischio? «Kenya e Tanzania. Dove l’estremismo si sta diffondendo tra i più poveri, specialmente sulla fascia costiera».
Come in Nordafrica.
«Sì, ma direi che in quell’area i Paesi hanno più motivi interni di resistenza: il Marocco combatte contro i guerriglieri sahrawi, che hanno infiltrazioni di Al Qaida. L’Algeria a suo tempo cancellò le elezioni quando vinse una coalizione estremista. L’Egitto non è un Paese arabo. Rimane l’incognita libica: il regime di Gheddafi è un elemento stabilizzatore. Bisogna capire cosa succederà dopo di lui».
Alberto Quarati

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