Sudan, miseria e nobiltà a Khartoum
Lo chiamano la Grande vela di Gheddafi. Ma, a vederlo brillare dentro il cielo cobalto, il nuovissimo hotel pare un’immensa farfalla di vetro che batte nell’aria cento ali. Tanti quanti i piani del suo palazzo. L’albergo costruito dagli uomini del Dio terreno dei libici è oggi il cuore dalla nuova Khartoum. Sudan dalle due facce. Lo splendore della nuova capitale e l’eclissi di pace nel paese. Infatti. Se da una parte il milione e mezzo tra rifugiati e fuggiaschi nel Darfur e i suoi 300 mila morti decideranno tra poco se il presidente Omar al Bashir merita la condanna all’Aja, dall’altra Khartoum, che vola sulle milionarie vendite di petrolio alla Cina, esplode nella sua più grande « crisi» di rinascita.Investimenti di ogni razza dal mondo nababbo dell’Oriente, dalla Malesia al Qatar, ma soprattutto proprietà immobiliari. Alberghi-astronavi, grattacieli color porporina, palazzi come missili di rame. Architetture che fondono il lusso futuribile dell’Occidente con l’oro e l’argento amati dall’Africa araba. Interi quartieri-cantieri dove migliaia di piccolissimi omini gialli (operai cinesi) guidano ruspe cariche di cemento accanto a giganti neri (operai sudanesi) che fanno rombare le scavatrici.Uno prima di tutti: il quartiere di al Mogran. Una volta era la foresta. Oggi, nel giardino fiorito di bouganville, ecco le famiglie che godono il tramonto sulla cornice dell’acqua. Sulla punta estrema di Khartoum un miracolo degli occhi: il Nilo bianco, che arriva da est, s’incontra con il Nilo azzuro che scorre parallelo a quella lingua di terra. Finché quel matrimonio di acque diventa il sacro fiume che vola verso l’Egitto. «Questi rivi si fondono proprio come fanno oggi le due anime del nostro Sudan». Nel suo palazzo Abdel Halim al Mutafi, potente governatore di Khartoum, siede davanti al fumo caldo del tè alla menta: «L’acqua bianca, come gli abiti delle tradizioni arabe, e quella azzurra, come i grattacieli della nuova Khartoum». Il turbante del governatore ondeggia: «Il Sudan può diventare la stella nell’economia dell’Africa orientale musulmana. Tanto che oggi le profezie del Fondo monetario internazionale parlano di un salto del nostro Pil al 13 per cento». Quello che il governatore non dice è che il petrolio rimane la fiamma dell’infrangibile guerra nel sud. Nonostante la pace del 2005, pochi mesi fa ad Abyei gli scontri tra l’armata del governo e l’Spla hanno lasciato ancora villaggi carbonizzati, distruzione e fame. Proprio a est della città, accanto a Heglig, bruciano i giacimenti dell’oro nero che, comprato dalla Cina per miliardi di dollari, sta ricostruendo la nuova Khartoum.Ma gli abitanti di quella terra miracolata lamentano di non raccogliere il premio del tesoro. Anzi. C’è chi racconta che i dinka non possano nemmeno varcare i confini di quella che fu la loro patria. Non basta. L’ultimo Economist scrive: «I ribelli dicono che troppi bilioni vanno alle armi comprate dal governo, come i T72 , i carri armati sequestrati dai pirati sulle coste somale». Per sradicare queste «maledette leggende» sul suo paese e per dimostrare al nuovo presidente Barack Obama, considerato un nemico molto pericoloso, che il Sudan può uscire dalla lista degli sponsor del terrore, al Bashir ha approvato due settimane fa un dossier che darà ai ribelli del Darfur molto più di quello che chiedono. La compensazione dei dividendi del petrolio, il ritorno dei rifugiati e l’appuntantamento col vicepresidente del Darfur. Dunque un nuovo Sudan che corre parallelo alla nuova Khartoum.Padrino della nuova pace il Qatar, fresco dei suoi successi di mediazione libanese. Come del resto Dubai è stata in qualche modo la musa della rivoluzione immobiliare della capitale sudanese. Al proposito, il governatore della città ha dimostrato di non amare gli stereotipi. «Dubai? Ogni città deve portarsi addosso i segni della propria cultura. Oggi Khartoum è sparata nello skyline con costruzioni verticali e stellari, per non sacrificare la sua periferia. Ma non dimentichiamo le nuove università, le strade e i centri di cultura. Insomma Khartoum come prototipo per tutta l’area e chissà, forse per tutta l’Africa». Camminando per al Mogran, le parole di al Mutafi si fanno più che mai vere. La torre di specchi rossi appartiene a Osama Daud, uno dei padrini della rinascita spaziale della città. Il suddetto presidente della compagnia Al Sunut ha unito i capitali dei Paperon de Paperoni locali e quelli del governo sudanese mettendo insieme un progetto che vale 4 miliardi di dollari. I palazzi più infiniti ospitano le società petrolifere che hanno invaso il paese. Dalla Petrodar alla Sinopec Petronas, grande compagnia malese di cui il 30 per cento del capitale risulta, guarda caso, della Exxon Mobil. Cioè degli stessi americani che tante sanzioni esercitano contro il Sudan. «Abbiamo pensato alle ricostruzioni delle città orientali distrutte dalla guerra. Prima fra tutte Beirut» ha raccontato Osama.Ma le sue Mille e una notte paiono a molti inquietanti, in un paese dove purtroppo la fame è ancora attrice protagonista di strade e di vite. Troppe famiglie sudanesi vivono ancora con 2 dollari al giorno e, come in tutti i paesi in via di sviluppo, la forbice tra poveri e ricchi si allarga disperatamente. La rabbia anche. Ingoiare la miseria galeggiando su una terra fitta d’olio nero non è semplice. Rimbalzano nel cervello le parole del turbantato governatore al Mutafi: « Il nuovo Sudan deve partire anche da progetti come questi, che danno milioni di posti di lavoro. In questi giorni al Bashir indice una nuova pace, ma è già dall’accordo del 2005 che dividiamo col Sud i guadagni del petrolio. Abbiamo fatto i nostri errori, ma perché nessuno ricorda che oggi i ribelli, divisi in 100 fazioni, si attaccano tra loro spargendo ancora sangue e disperazione?».Una vera rivoluzione potrebbero essere le elezioni del 2009. «Sarebbe una vera battaglia tra al Bashir e Salva Kiir, leader dell’Splm, calamita di voti dei disperati di Darfur e Sud Sudan» dice l’africanista padre Giulio Albanese. Sarebbe finalmente vero il sogno di John Garang, primo leader dell’Splm, un’alleanza tra Sud e Nord, integrando le due armate e chiudendo il problema dei confini.L’ immensa palla di vetro a 16 piani che ho davanti mi riporta all’unica realtà di oggi. È il fortino della società del Qatar «Khatari Diar», che ha comprato 150 mila ettari di terreno per costruire appartamenti e uffici per sudanesi ricchi. Dopo il negozio di spezie passeggia serissimo un caprone nero. Khartoum dei due mondi che si fondono come il suo Nilo. La torre di vetri turchini appartiene al Kharafy Group , società del Kuwait. «Anche i kuwatiani costruiranno centinaia di ville e villette, e quelle andranno al ceto medio» dice l’architetta Saida con l’abito di seta color del sole. Davanti a lei, il palazzo di Almardi Limousine promette vetture a 12 posti con tende di brocccati e wc incorporati. «Il vero paradiso per shopping di lusso però si trova fuori città» dice Saida.Nel centro commerciale dell’Afra Mall, gigante da 60 milioni di dollari, le ragazze comprano sete matrimoniali e gabbiette per usignoli. «Qui il maquillage alla moda è la white cream, crema-viso sbiancante all’europea» confessa Halima che studia medicina all’università, dove le donne sono il 70 per cento delle iscritte. Khartoum degli affari che entrano nello sport. Gamal Eldin M.A. Elwafi, giovinotto di grandi speranze nel business sudanese, possiede anche la Al Merer, squadra di calcio. « Tifo matto» racconta Gamal che guida uno splendente Suv alla californiana. «Lo sport nei paesi poveri come il nostro diventa medicina e consolazione». Vero. Di sera, al ristorante, gli ufficiali delle missioni di pace dell’Onu, impotenti davanti alla tragedia del Sud, e i cittadini benestanti della capitale, guardano insieme la partita sullo schermo hollywoodiano. Immensi ventilatori, piazzati tra le bouganville, schizzano acqua profumata per rinfrescare i presenti.Khartoum dell’altro mondo. «Prima che il Sudan intero raggiunga la modernità di Karthoum passeranno tempi, è vero». Tahir Younis, general manager di Afi, società di turismo, trasporti e import svela un segreto: «Ma oggi una task force di Kuwait e Qatar ha investito milioni di dollari per costruire pozzi d’acqua e villaggi che possano ospitare i profughi dei campi». Intanto il Darfur aspetta. Tra violenze, vendette e fame di pace. l
Lo chiamano la Grande vela di Gheddafi. Ma, a vederlo brillare dentro il cielo cobalto, il nuovissimo hotel pare un’immensa farfalla di vetro che batte nell’aria cento ali. Tanti quanti i piani del suo palazzo. L’albergo costruito dagli uomini del Dio terreno dei libici è oggi il cuore dalla nuova Khartoum. Sudan dalle due facce. Lo splendore della nuova capitale e l’eclissi di pace nel paese. Infatti. Se da una parte il milione e mezzo tra rifugiati e fuggiaschi nel Darfur e i suoi 300 mila morti decideranno tra poco se il presidente Omar al Bashir merita la condanna all’Aja, dall’altra Khartoum, che vola sulle milionarie vendite di petrolio alla Cina, esplode nella sua più grande « crisi» di rinascita.Investimenti di ogni razza dal mondo nababbo dell’Oriente, dalla Malesia al Qatar, ma soprattutto proprietà immobiliari. Alberghi-astronavi, grattacieli color porporina, palazzi come missili di rame. Architetture che fondono il lusso futuribile dell’Occidente con l’oro e l’argento amati dall’Africa araba. Interi quartieri-cantieri dove migliaia di piccolissimi omini gialli (operai cinesi) guidano ruspe cariche di cemento accanto a giganti neri (operai sudanesi) che fanno rombare le scavatrici.Uno prima di tutti: il quartiere di al Mogran. Una volta era la foresta. Oggi, nel giardino fiorito di bouganville, ecco le famiglie che godono il tramonto sulla cornice dell’acqua. Sulla punta estrema di Khartoum un miracolo degli occhi: il Nilo bianco, che arriva da est, s’incontra con il Nilo azzuro che scorre parallelo a quella lingua di terra. Finché quel matrimonio di acque diventa il sacro fiume che vola verso l’Egitto. «Questi rivi si fondono proprio come fanno oggi le due anime del nostro Sudan». Nel suo palazzo Abdel Halim al Mutafi, potente governatore di Khartoum, siede davanti al fumo caldo del tè alla menta: «L’acqua bianca, come gli abiti delle tradizioni arabe, e quella azzurra, come i grattacieli della nuova Khartoum». Il turbante del governatore ondeggia: «Il Sudan può diventare la stella nell’economia dell’Africa orientale musulmana. Tanto che oggi le profezie del Fondo monetario internazionale parlano di un salto del nostro Pil al 13 per cento». Quello che il governatore non dice è che il petrolio rimane la fiamma dell’infrangibile guerra nel sud. Nonostante la pace del 2005, pochi mesi fa ad Abyei gli scontri tra l’armata del governo e l’Spla hanno lasciato ancora villaggi carbonizzati, distruzione e fame. Proprio a est della città, accanto a Heglig, bruciano i giacimenti dell’oro nero che, comprato dalla Cina per miliardi di dollari, sta ricostruendo la nuova Khartoum.Ma gli abitanti di quella terra miracolata lamentano di non raccogliere il premio del tesoro. Anzi. C’è chi racconta che i dinka non possano nemmeno varcare i confini di quella che fu la loro patria. Non basta. L’ultimo Economist scrive: «I ribelli dicono che troppi bilioni vanno alle armi comprate dal governo, come i T72 , i carri armati sequestrati dai pirati sulle coste somale». Per sradicare queste «maledette leggende» sul suo paese e per dimostrare al nuovo presidente Barack Obama, considerato un nemico molto pericoloso, che il Sudan può uscire dalla lista degli sponsor del terrore, al Bashir ha approvato due settimane fa un dossier che darà ai ribelli del Darfur molto più di quello che chiedono. La compensazione dei dividendi del petrolio, il ritorno dei rifugiati e l’appuntantamento col vicepresidente del Darfur. Dunque un nuovo Sudan che corre parallelo alla nuova Khartoum.Padrino della nuova pace il Qatar, fresco dei suoi successi di mediazione libanese. Come del resto Dubai è stata in qualche modo la musa della rivoluzione immobiliare della capitale sudanese. Al proposito, il governatore della città ha dimostrato di non amare gli stereotipi. «Dubai? Ogni città deve portarsi addosso i segni della propria cultura. Oggi Khartoum è sparata nello skyline con costruzioni verticali e stellari, per non sacrificare la sua periferia. Ma non dimentichiamo le nuove università, le strade e i centri di cultura. Insomma Khartoum come prototipo per tutta l’area e chissà, forse per tutta l’Africa». Camminando per al Mogran, le parole di al Mutafi si fanno più che mai vere. La torre di specchi rossi appartiene a Osama Daud, uno dei padrini della rinascita spaziale della città. Il suddetto presidente della compagnia Al Sunut ha unito i capitali dei Paperon de Paperoni locali e quelli del governo sudanese mettendo insieme un progetto che vale 4 miliardi di dollari. I palazzi più infiniti ospitano le società petrolifere che hanno invaso il paese. Dalla Petrodar alla Sinopec Petronas, grande compagnia malese di cui il 30 per cento del capitale risulta, guarda caso, della Exxon Mobil. Cioè degli stessi americani che tante sanzioni esercitano contro il Sudan. «Abbiamo pensato alle ricostruzioni delle città orientali distrutte dalla guerra. Prima fra tutte Beirut» ha raccontato Osama.Ma le sue Mille e una notte paiono a molti inquietanti, in un paese dove purtroppo la fame è ancora attrice protagonista di strade e di vite. Troppe famiglie sudanesi vivono ancora con 2 dollari al giorno e, come in tutti i paesi in via di sviluppo, la forbice tra poveri e ricchi si allarga disperatamente. La rabbia anche. Ingoiare la miseria galeggiando su una terra fitta d’olio nero non è semplice. Rimbalzano nel cervello le parole del turbantato governatore al Mutafi: « Il nuovo Sudan deve partire anche da progetti come questi, che danno milioni di posti di lavoro. In questi giorni al Bashir indice una nuova pace, ma è già dall’accordo del 2005 che dividiamo col Sud i guadagni del petrolio. Abbiamo fatto i nostri errori, ma perché nessuno ricorda che oggi i ribelli, divisi in 100 fazioni, si attaccano tra loro spargendo ancora sangue e disperazione?».Una vera rivoluzione potrebbero essere le elezioni del 2009. «Sarebbe una vera battaglia tra al Bashir e Salva Kiir, leader dell’Splm, calamita di voti dei disperati di Darfur e Sud Sudan» dice l’africanista padre Giulio Albanese. Sarebbe finalmente vero il sogno di John Garang, primo leader dell’Splm, un’alleanza tra Sud e Nord, integrando le due armate e chiudendo il problema dei confini.L’ immensa palla di vetro a 16 piani che ho davanti mi riporta all’unica realtà di oggi. È il fortino della società del Qatar «Khatari Diar», che ha comprato 150 mila ettari di terreno per costruire appartamenti e uffici per sudanesi ricchi. Dopo il negozio di spezie passeggia serissimo un caprone nero. Khartoum dei due mondi che si fondono come il suo Nilo. La torre di vetri turchini appartiene al Kharafy Group , società del Kuwait. «Anche i kuwatiani costruiranno centinaia di ville e villette, e quelle andranno al ceto medio» dice l’architetta Saida con l’abito di seta color del sole. Davanti a lei, il palazzo di Almardi Limousine promette vetture a 12 posti con tende di brocccati e wc incorporati. «Il vero paradiso per shopping di lusso però si trova fuori città» dice Saida.Nel centro commerciale dell’Afra Mall, gigante da 60 milioni di dollari, le ragazze comprano sete matrimoniali e gabbiette per usignoli. «Qui il maquillage alla moda è la white cream, crema-viso sbiancante all’europea» confessa Halima che studia medicina all’università, dove le donne sono il 70 per cento delle iscritte. Khartoum degli affari che entrano nello sport. Gamal Eldin M.A. Elwafi, giovinotto di grandi speranze nel business sudanese, possiede anche la Al Merer, squadra di calcio. « Tifo matto» racconta Gamal che guida uno splendente Suv alla californiana. «Lo sport nei paesi poveri come il nostro diventa medicina e consolazione». Vero. Di sera, al ristorante, gli ufficiali delle missioni di pace dell’Onu, impotenti davanti alla tragedia del Sud, e i cittadini benestanti della capitale, guardano insieme la partita sullo schermo hollywoodiano. Immensi ventilatori, piazzati tra le bouganville, schizzano acqua profumata per rinfrescare i presenti.Khartoum dell’altro mondo. «Prima che il Sudan intero raggiunga la modernità di Karthoum passeranno tempi, è vero». Tahir Younis, general manager di Afi, società di turismo, trasporti e import svela un segreto: «Ma oggi una task force di Kuwait e Qatar ha investito milioni di dollari per costruire pozzi d’acqua e villaggi che possano ospitare i profughi dei campi». Intanto il Darfur aspetta. Tra violenze, vendette e fame di pace. l
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