Lo Stato del Sudan, precedentemente sotto protettorato anglo-egiziano (Trattato anglo-egiziano del 1936 che conferma l’Accordo del protettorato del 1899), raggiunge la propria indipendenza grazie all’Accordo anglo-egiziano del 1953 sul diritto all’autodeterminazione e sul miglioramento della fase di autogoverno, e con la successiva risoluzione adottata nel dicembre 1955 dal parlamento sudanese. Nel 1956 il Sudan riunificato ([1]) adotta un regime parlamentare. Il Sudan diviene membro della Lega Araba nel 1956 e delle Nazioni Unite il 12 novembre del 1957.
Dal 1955 al 1972 il Sudan è stato martoriato da conflitti interni e dalla guerra civile tra le forze governative settentrionali e le forze Anya Nya che rivendicavano l’autonomia della parte meridionale del paese ([2]). Nel 1972 viene sottoscritto un accordo di pace ad Addis Abeba tra governo e ribelli ([3]) con il quale si garantì al Sud una sorta di autonomia attraverso la costituzione di un’assemblea regionale con facoltà di elezione del Presidente dell’alto consiglio esecutivo – HEC (organo locale situato a Juba) - ([4]), garanzie previste anche nella successiva Costituzione sudanese che venne adottata nel 1973 ([5]).
Successivamente, il 12 aprile 1978, venne concluso l’Accordo di Riconciliazione nazionale fra opposizione politica (Fronte Nazionale) e governo sudanese.
Dopo un periodo di pace e stabilità riprende la guerra civile tra il governo sudanese e il costituito Sudan People’s Liberation Movement (SPLM) ([6]). Il colpo di stato del 1989 instaurò una dittatura militare guidata dal generale Omar Hassn Ahmed al Bashir - dominata dal Fronte nazionale islamico (NIF) - e inasprì ulteriormente il conflitto ([7]).
Di fronte all’intensificarsi del conflitto la diplomazia ha tentato di mediare tra le due parti in lotta con scarsi risultati ([8]). Solo nel giugno del 2002, grazie al lavoro di mediazione svolto dall’incaricato speciale delle Nazioni Unite (John C. Danforth), presero inizio le trattative di pace fra il governo sudanese e il SPLM.
Il 20 luglio 2002 il governo e il SPLA (Sudan People’s Liberation Army) sottoscrivono il Protocollo di Machakos con il quale si riconosce il diritto del Sud ad autodeterminarsi dopo un periodo di interim della durata di sei anni, mentre i ribelli del Sud accettano l’applicazione della legge islamica al Nord. Successivamente, nell’ottobre del 2002, il governo e il SPLA si accordano per l’applicazione del cessate-il-fuoco per l’intera durata delle negoziazioni. Ciononostante le ostilità non si placano.
Infatti il conflitto intestino si concentrò (principalmente) nel Darfur – che in arabo significa “paese dei Fur” - (regione situata all’ovest del Sudan, nel deserto del Sahara) nel febbraio del 2003 nel momento in cui le milizie del SPLMe quelle del JEM (Justice and Equality Movement) attaccarono alcuni insediamenti governativi. Nel gennaio del 2004 l’esercito si dirige nella regione occidentale del Darfur unendosi alle forze filogovernative “janjaweed” (uomini a cavallo reclutati fra gli appartenenti ad una tribù nomade di religione islamica) e nel maggio dello stesso anno gli scontri sconfinano in Ciad - Stato in cui si erano rifugiate circa 100.000 persone che erano fuggite dall’avanzata governativa del gennaio 2004 ([9]) - dove le forze armate si scontrano con le milizie arabe vicine al governo di Kharthoum ([10]).
Il 05 giugno 2004 le due parti in lotta (governo del Sudan e il SPLA) sottoscrivono a Nairobi una dichiarazione nella quale si esprime la volontà di confermare un loro precedente accordo di cessate-il-fuoco (unitamente ai sei protocolli allegati) ([11]) concluso a Nairobi l’8 aprile 2004 e quindi di proseguire i negoziati in buona fede per arrivare ad una pace stabile ([12]).
Nel settembre del 2004 l’inviato delle Nazioni Unite ha sostenuto che il Sudan non ha mantenuto l’impegno di disarmare le milizie arabe del Darfur e che quindi la situazione necessita di una missione umanitaria che il governo sudanese dovrebbe accettare.
Nell’ottobre 2004 riprendono i colloqui di pace tra il governo e il SPLM dopo un’interruzione di due mesi. Sempre nell’ottobre 2004 l’Unione Africana decide di incrementare la sua presenza in Darfur e di inviare una forza di polizia civile. Il 7 novembre 2004 il governo sudanese accetta di porre fine ai raids aerei sul Darfur e firma una serie di accordi nella città nigeriana di Abuja riguardanti aspetti militari ed umanitari.
Il 19 novembre 2004 il governo sudanese e il SPLM firmano un protocollo di intesa nel quale si impegnano, davanti alle Nazioni Unite, a concludere un accordo di pace totale entro la fine dell’anno.
Il 9 gennaio 2005 viene sottoscritto a Nairobi (Kenya) l’accordo di pace che avrebbe dovuto porre fine ad una delle guerre più lunghe e sanguinose nel continente africano.
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