L'Italia deve diventare il difensore dei cristiani perseguitati nel mondo
di
Michele Trabucco
17 Novembre 2010
Il ministro Frattini, e insieme a lui l’Italia intera, sono in prima linea nel difendere i cristiani perseguitati. Le ultime recenti violenze in Iraq, come in Pakistan e prima ancora in India, per non parlare di quelle perpetuate da decenni in alcuni paesi dell’Africa, come nel sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, hanno riportato prepotentemente in evidenza il dramma dei cristiani che vivono in paesi dove la maggioranza della popolazione è di un’altra religione e guidata da governi autoritari o democraticamente molto fragili.
Abbandonati dalla autorità locali, e spesso anche internazionali, le comunità cristiane minacciate vivono il dramma di una vita, una libertà, una fede seriamente in pericolo. Sembra sempre più chiaro che ci sia un piano politico nei confronti di queste popolazioni, strumentalmente ritenute troppo vicine al mondo occidentale e ai suoi “eretici valori”, in tutta quell’area asiatica e medio orientale continuamente in fibrillazione. In un contesto difficile, per i forti interessi geopolitici ed economici, il ministro Frattini è tra quelle voci che chiedono giustizia, libertà, la difesa di quei diritti fondamentali della persona come la vita e la libertà religiosa.
Forse non è un caso che le tensioni e gli attacchi ai cristiani avvengano sempre in zone dove gli interessi nazionali si scontrano con quelli internazionali, dove la destabilizzazione politica è lo strumento principale per ribaltare a proprio favore il controllo del territorio e della popolazione, dove i cristiani sono un bersaglio mirato, anche se purtroppo non l’unico, e dove la religione è strumentalizzata per perseguire altri motivi. La recente richiesta di spiegazioni al ministro del Pakistan, per la donna pachistana condannata a morte per blasfemia; la pressione nei confronti del governo iraniano per Sakineh; la moratoria contro la pena di morte presso le Nazioni Unite; lo stop all’esecuzione di Tarek Aziz in Iraq; l’accoglienza dei feriti nel recente attacco nella chiesa cattolica di Bagdad, sono solo gli ultimi gesti di un’azione politica che vede l’Italia impegnata con tutti i mezzi.
“Quello che abbiamo voluto far emergere – ha detto il nostro ministro degli esteri dopo aver incontrato il primo ministro Yusuf Raza Gilani e Qureshi – è che non ci deve essere la possibilità di abusare della legge contro la blasfemia per discriminare le minoranze cristiane”. E lo stesso Qureshi ha assicurato che “il governo pachistano farà tutto il possibile per evitare le discriminazioni e fare in modo che la legge non dia spazio ad abusi”. Come si legge nel sito ufficiale del Ministero, “quello della violenza contro le minoranze cristiane è un tema che Frattini intende portare a Bruxelles, dopo aver chiesto che la questione venga messa all'ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri degli Esteri europeo”.
L’impegno italiano contro la pena di morte ha dato i suoi frutti anche presso la Terza Commissione dell'Assemblea Generale ONU, della risoluzione che richiede una moratoria universale delle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte. Come sottolineato dal ministro “costruire e mantenere salda un'alleanza tra Paesi di tutti i gruppi regionali sostenitori della campagna contro la pena di morte è un fattore culturale fondamentale per sensibilizzare la popolazione e i rispettivi governi”. La difesa della vita e la garanzia di una legislazione moderna è una responsabilità determinante per la civiltà umana.
Il Pontificio Consiglio per il dialogo Interreligioso, intitolando il messaggio per la fine del Ramadan “Cristiani e Musulmani: insieme per vincere la violenza tra fedeli di religioni diverse”, aveva già constatato purtroppo la grande attualità, almeno in alcune regioni del mondo, di questo tema. Diverse sono le cause di queste assurde e sanguinose lotte, ma secondo il dicastero del Vaticano “l’ignoranza, la povertà, il sottosviluppo, l’ingiustizia” sono i principali motivi delle stragi contro i cristiani. Per questa ragione, l’impegno delle autorità è fondamentale perché “le autorità civili possano far valere la superiorità del diritto assicurando una vera giustizia per fermare gli autori ed i promotori della violenza”. Una responsabilità per la quale l’Italia rimarrà ancora in prima linea affinché, prima o poi, si possano raccogliere i primi frutti di questa battaglia di civiltà.
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