Sudan News
منع الترابي من السفر للعلاج في باريس
قال احد مساعدي الزعيم السياسي السوداني المعارض حسن الترابي ان الحكومة السودانية منعته من السفر الى باريس لتلقي العلاج.
وأشار عواد ابو بكر، ان الترابي حاصل على ترخيص بالسفر اصدر عن وزارة الداخلية السوادنية الا انه اوقف في مطار الخرطوم.
وكان الترابي الذي يتزعم حزب المؤتمر الشعبي المعارض قد اطلق سراحه في مارس/اذار بعد ان قضى شهرين في السجن على خلفية مطالبته للرئيس عمر البشير بتسليم نفسه لمحكمة الجزاء الدولية.
وقد وجهت المحكمة تهما للبشير بارتكاب جرائم حرب في سابقة بتوجيه تهمة لرئيس خلال فترة رئاسته.
ولم يستبعد الترابي وفي وقت سابق ان تلجأ "بعض القوى" الى استعمال القوة مع السودان كما فعلت في العراق.
واضاف الترابي بعد ساعات من إطلاق السلطات السودانية صراحه ان "التهمة موجهة الى شخص وليس الى الحكومة السودانية فعلى الشخص الاستجابة للمحكمة التي تناديه".
وكان الترابي قد قال "سياسيا نحن نعتقد انه مدان... ويجب ان يتحمل المسؤولية عن كل ما يحصل في دارفور: التهجير، واحراق القرى، وعمليات الاغتصاب الممنهجة على نطاق واسع".
موضوع من BBC
Eturabi sta male deve essere curato in Francia ma il permesso per partire stato negato, devo dire che in Sudan fin quando erano l'Inglese qualsiasi cittadino Sudanese si deve per forza ottiene il visto d'uscità per di partire si no va rimandati a casa sua, e cosi questo leggi existi.
Prima erano aleati ora non scure bon sangue tra Turabi e Bashir.....................................Abdelazim
Darfur/ Un migliaio a Roma per la Giornata mondiale
di Apcom
Raccolti fondi per la costruzione di un ospedale a Nyala
Roma, 19 apr. (Apcom) - Circa un migliaio di persone ha partecipato oggi alla Giornata mondiale per il Darfur, svoltasi questa mattina al Colosseo. Presenti anche almeno 70 rifugiati, alcuni dei quali arrivati da altre regioni italiane. L'iniziativa è stata organizzata dall'associazione Italians for Darfur, con l'adesione dell'Unione Giovani Ebrei d'Italia, Amnesty International, Non c'è pace senza giustizia e altre associazioni che si occupano di diritti umani. Il Presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli, ha ribadito la sua richiesta di intervenire al più presto nella regione sudanese, in guerra dal 2003, soprattutto per portare aiuto agli oltre due milioni di sfollati, le cui condizioni si sono aggravate dopo l'espulsione di 13 ong internazionali. L'espulsione è stata decisa all'inizio di marzo da Khartoum dopo la decisione della Corte penale internazionale dell'Aia (Cpi) di spiccare un mandato di arresto contro il Presidente sudanese Omar al Bashir per crimini di guerra e contro l'umanità. Napoli ha sottolineato la necessità che queste ong siano sostituite da altre capaci di garantire le stesse capacità di aiuto, e non da ong sudanesi, come annunciato da Khartoum, perchè non in grado di far fronte ai bisogni della popolazione sfollata. Stando a un rapporto dell'Onu, l'espulsione di ong come Oxfam, Care International, Medici senza frontiere e Save the Children, ha messo fine ai programmi speciali di alimentazione destinati a migliaia di bambini affetti da grave malnutrizione e alle donne in stato di gravidanza, mettendo a rischio anche le cure sanitarie e i ripari per centinaia di migliaia di persone. Se il governo di Khartoum e le Nazioni Unite non riusciranno a colmare tali lacune, circa 1,1 milione di persone oggi dipendenti dagli aiuti alimentari non riceveranno più le loro razioni di cibo a partire dal mese di maggio. Al Colosseo è stata organizzata anche una raccolta di fondi per la realizzazione di un ospedale pediatrico di Emergency a Nyala, capitale del Darfur del Sud, con una mostra fotografica e la vendita del libro 'Volti e colori del Darfur'. Presente anche la testimonial della campagna 'Diamo voce al Darfur', Monica Guerritore, che nella prefazione del libro ha scritto: "Dobbiamo immaginare la sofferenza di tutti questi uomini, donne e bambini. Continua, giorno dopo giorno. Senza nessuna speranza se non quella che può venire da noi". In piazza era presente anche l'intergruppo parlamentare per il Darfur, con il suo Presidente Gianni Vernetti e Matteo Mecacci, che nei giorni scorsi ha presentato una mozione sulla crisi in Darfur, con l'auspicio che la situazione nella regione sudanese sia oggetto di dibattito in aula entro l'estate.
Storie d'emigrazione nel residence occupato
di Ilaria Carra
Entro la giornata si concluderà la valutazione delle singole posizioni dei rifugiati. Che ogni giorno aumentano di numero. E reclamano il rispetto dei loro diritti. La Caritas pronta a intervenire
La voce si è sparsa velocemente. Passa ogni tanto, la polizia. Butta un occhio che tutto sia tranquillo mentre è in corso la valutazione, caso per caso, degli occupanti, che entro oggi al più tardi dovrebbe concludersi. Il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, avverte: «Un conto è dare ospitalità a chi ne ha diritto, un altro è trasformarsi nel Paese di Bengodi dando ospitalità a clandestini che arrivano da ogni parte d’Italia. In città già si assistono 300 profughi con otto milioni all’anno». Replica Luciano Muhlbauer, consigliere regionale del Prc: «De Corato mente, non sono clandestini ma profughi fuggiti da persecuzioni e guerre». Nel frattempo la Caritas si dice pronta a intervenire. «Ma le istituzioni locali — chiede il direttore don Roberto Davanzo — non devono mettere la testa sotto la sabbia».L’ex residence nel ‘91 aveva accolto i primi profughi albanesi, mentre nel ‘76 l’altra ala dell’hotel Leonardo da Vinci era diventata la casa degli sfollati dalla nube tossica di Seveso. «Chiediamo allo Stato di rispettare i nostri diritti di rifugiati politici, perché il governo italiano ci ha lasciato come spazzatura», scrivono gli immigrati in una nota aiutati dagli esponenti del centro sociale Cantiere. Johanes Ganzbu e la compagna se ne stanno nel cortile dietro al residence, seduti sull’erba. Sono ben vestiti, gli occhi stanchi, cerchiati di nero. Meglio stare svegli, non si sa mai cosa può accadere. Johanes ha 25 anni, è nato a Kassala, in Sudan. Ma quasi subito s’è ritrovato a vivere ad Asmara, capitale dell’Eritrea. A sedici anni già imbracciava un fucile, ha fatto il soldato e per due anni ha combattuto tra gli spari di una guerra civile che ha causato decine di migliaia di morti. «Poi Sudan», ricorda Johanes. E un lavoro da meccanico, quindi autista per una compagnia turca di Khartoum. Anche la sua famiglia lo ha raggiunto in Sudan, in fuga dalla guerra, come lui. Ma il sogno era l’Italia, già altri che conosceva ci avevano provato. Un viaggio fino a Tripoli lo ha avvicinato alle nostre coste. Poi gli accordi con «quelli della barca», gli scafisti. Tre giorni di viaggio in 360 su un’unica carretta. Giorno e notte, 1.400 dollari, tutti i risparmi. L’arrivo a Lampedusa, un permesso di soggiorno rilasciato a Trapani che scadrà nel 2011 e lo status di rifugiato politico. La compagna, Tsehay, che prima è rimasta in Sudan e poi lo ha raggiunto qui, oggi è al suo fianco. «Solo un aiuto — chiede — no lavoro, no casa, no soldi. Niente. Non è vita questa». Dentro l’edificio, in una stanza a piano terra, c’è invece Ether, in fuga dall’Eritrea. Ha 22 anni, tra le braccia allatta Abdel, un piccolo di un mese, nato qui a Milano a casa di conoscenti, il padre è rimasto in Sudan. «Vivo per strada con il mio bambino di un mese, nato in Italia, aiutatemi per dare a lui un futuro migliore del mio». Non tanto per lei, ma per il piccolo che stringe, che da due notti dorme con lei in una stanza di quel palazzone di cemento, centinaia di miniappartamenti in rovina in cui ogni profugo ha già scritto a pennarello nero il proprio nome fuori dalla tenda di plastica montata come fosse una porta.
Darfur/ Un migliaio a Roma per la Giornata mondiale
di Apcom
Raccolti fondi per la costruzione di un ospedale a Nyala
Roma, 19 apr. (Apcom) - Circa un migliaio di persone ha partecipato oggi alla Giornata mondiale per il Darfur, svoltasi questa mattina al Colosseo. Presenti anche almeno 70 rifugiati, alcuni dei quali arrivati da altre regioni italiane. L'iniziativa è stata organizzata dall'associazione Italians for Darfur, con l'adesione dell'Unione Giovani Ebrei d'Italia, Amnesty International, Non c'è pace senza giustizia e altre associazioni che si occupano di diritti umani. Il Presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli, ha ribadito la sua richiesta di intervenire al più presto nella regione sudanese, in guerra dal 2003, soprattutto per portare aiuto agli oltre due milioni di sfollati, le cui condizioni si sono aggravate dopo l'espulsione di 13 ong internazionali. L'espulsione è stata decisa all'inizio di marzo da Khartoum dopo la decisione della Corte penale internazionale dell'Aia (Cpi) di spiccare un mandato di arresto contro il Presidente sudanese Omar al Bashir per crimini di guerra e contro l'umanità. Napoli ha sottolineato la necessità che queste ong siano sostituite da altre capaci di garantire le stesse capacità di aiuto, e non da ong sudanesi, come annunciato da Khartoum, perchè non in grado di far fronte ai bisogni della popolazione sfollata. Stando a un rapporto dell'Onu, l'espulsione di ong come Oxfam, Care International, Medici senza frontiere e Save the Children, ha messo fine ai programmi speciali di alimentazione destinati a migliaia di bambini affetti da grave malnutrizione e alle donne in stato di gravidanza, mettendo a rischio anche le cure sanitarie e i ripari per centinaia di migliaia di persone. Se il governo di Khartoum e le Nazioni Unite non riusciranno a colmare tali lacune, circa 1,1 milione di persone oggi dipendenti dagli aiuti alimentari non riceveranno più le loro razioni di cibo a partire dal mese di maggio. Al Colosseo è stata organizzata anche una raccolta di fondi per la realizzazione di un ospedale pediatrico di Emergency a Nyala, capitale del Darfur del Sud, con una mostra fotografica e la vendita del libro 'Volti e colori del Darfur'. Presente anche la testimonial della campagna 'Diamo voce al Darfur', Monica Guerritore, che nella prefazione del libro ha scritto: "Dobbiamo immaginare la sofferenza di tutti questi uomini, donne e bambini. Continua, giorno dopo giorno. Senza nessuna speranza se non quella che può venire da noi". In piazza era presente anche l'intergruppo parlamentare per il Darfur, con il suo Presidente Gianni Vernetti e Matteo Mecacci, che nei giorni scorsi ha presentato una mozione sulla crisi in Darfur, con l'auspicio che la situazione nella regione sudanese sia oggetto di dibattito in aula entro l'estate.
Storie d'emigrazione nel residence occupato
di Ilaria Carra
Entro la giornata si concluderà la valutazione delle singole posizioni dei rifugiati. Che ogni giorno aumentano di numero. E reclamano il rispetto dei loro diritti. La Caritas pronta a intervenire
La voce si è sparsa velocemente. Passa ogni tanto, la polizia. Butta un occhio che tutto sia tranquillo mentre è in corso la valutazione, caso per caso, degli occupanti, che entro oggi al più tardi dovrebbe concludersi. Il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, avverte: «Un conto è dare ospitalità a chi ne ha diritto, un altro è trasformarsi nel Paese di Bengodi dando ospitalità a clandestini che arrivano da ogni parte d’Italia. In città già si assistono 300 profughi con otto milioni all’anno». Replica Luciano Muhlbauer, consigliere regionale del Prc: «De Corato mente, non sono clandestini ma profughi fuggiti da persecuzioni e guerre». Nel frattempo la Caritas si dice pronta a intervenire. «Ma le istituzioni locali — chiede il direttore don Roberto Davanzo — non devono mettere la testa sotto la sabbia».L’ex residence nel ‘91 aveva accolto i primi profughi albanesi, mentre nel ‘76 l’altra ala dell’hotel Leonardo da Vinci era diventata la casa degli sfollati dalla nube tossica di Seveso. «Chiediamo allo Stato di rispettare i nostri diritti di rifugiati politici, perché il governo italiano ci ha lasciato come spazzatura», scrivono gli immigrati in una nota aiutati dagli esponenti del centro sociale Cantiere. Johanes Ganzbu e la compagna se ne stanno nel cortile dietro al residence, seduti sull’erba. Sono ben vestiti, gli occhi stanchi, cerchiati di nero. Meglio stare svegli, non si sa mai cosa può accadere. Johanes ha 25 anni, è nato a Kassala, in Sudan. Ma quasi subito s’è ritrovato a vivere ad Asmara, capitale dell’Eritrea. A sedici anni già imbracciava un fucile, ha fatto il soldato e per due anni ha combattuto tra gli spari di una guerra civile che ha causato decine di migliaia di morti. «Poi Sudan», ricorda Johanes. E un lavoro da meccanico, quindi autista per una compagnia turca di Khartoum. Anche la sua famiglia lo ha raggiunto in Sudan, in fuga dalla guerra, come lui. Ma il sogno era l’Italia, già altri che conosceva ci avevano provato. Un viaggio fino a Tripoli lo ha avvicinato alle nostre coste. Poi gli accordi con «quelli della barca», gli scafisti. Tre giorni di viaggio in 360 su un’unica carretta. Giorno e notte, 1.400 dollari, tutti i risparmi. L’arrivo a Lampedusa, un permesso di soggiorno rilasciato a Trapani che scadrà nel 2011 e lo status di rifugiato politico. La compagna, Tsehay, che prima è rimasta in Sudan e poi lo ha raggiunto qui, oggi è al suo fianco. «Solo un aiuto — chiede — no lavoro, no casa, no soldi. Niente. Non è vita questa». Dentro l’edificio, in una stanza a piano terra, c’è invece Ether, in fuga dall’Eritrea. Ha 22 anni, tra le braccia allatta Abdel, un piccolo di un mese, nato qui a Milano a casa di conoscenti, il padre è rimasto in Sudan. «Vivo per strada con il mio bambino di un mese, nato in Italia, aiutatemi per dare a lui un futuro migliore del mio». Non tanto per lei, ma per il piccolo che stringe, che da due notti dorme con lei in una stanza di quel palazzone di cemento, centinaia di miniappartamenti in rovina in cui ogni profugo ha già scritto a pennarello nero il proprio nome fuori dalla tenda di plastica montata come fosse una porta.
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